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Close UP n.7 - Big Data... e poi me ne restano mille

“Dentro la testa di ognuno di noi ci sono circa 85 miliardi di neuroni, ognuno di essi è connesso con migliaia di altri neuroni. Questo significa che esistono più di 100 miliardi di miliardi di connessioni solo dentro la nostra testa”.

Louis Rosemberg, CEO & Chief Scientist di “Unanimous AI”

Tutte queste connessioni generano dei dati che il nostro cervello elabora costantemente.

I dati sono intrinsechi nella natura umana e stanno cambiando il mondo in un’era in cui anche i più esemplari business model si fondano sui big data: advertising sui social media o su Google, scelte d’investimento di grandi colossi come Tesla, Meta, Netflix o Spotify, fino alle analisi delle prestazioni sportive di singoli giocatori di grandi club di calcio europei, tutte basate sui dati, che influenzano di conseguenza le decisioni e gli investimenti.

Per il settimo numero di Close up abbiamo chiesto a degli esperti di raccontarci la loro esperienza.

"I Big Data in Italia non esistono"

Partiamo da una frase forte: i big data in Italia non esistono. E non ci si aspetta che esistano perché l’Italia è un paese piccolo.

Ma cosa sono? Per saperlo abbiamo intervistato Francesco Bergamaschi, Direttore scientifico della Masterclass di Fondazione Aldini Valeriani in Business Intelligence Analytics

I big data sono collezioni di dati con due principali caratteristiche:

1 – essere big, cioè una grande collezione (saremo più specifici a breve);
2 – essere di natura anche non strutturata.

Partiamo dal secondo punto. I dati non strutturati sono dati non rappresentati in una tabella. Alcuni esempi: video, twit, audio, animazioni.

I dati strutturati, al contrario, vivono in tabelle e li gestiamo senza problemi dagli anni 60 del ventesimo secolo grazie alla Business Intelligence (BI). Oggi, grazie alla self-service BI, li gestiamo anche in modo molto semplice rispetto al passato (Power BI, click, Tableau sono esempi di software di BI).

Dunque, per cominciare, i big data sono dati di natura mista (strutturata, cioè tabellare, e non strutturata). Ciò implica di dovere usare metodi non convenzionali per ottenerne degli spunti: non è semplice trattare video, tag, tabelle, audio insieme. Da qui la necessità spinta di metodi statistici, reti neurali e altre complesse tecnologie.

Non è questo l’ingrediente mancante in Italia, siamo pieni di social, video, tag e similari (forse anche troppo a volte).

Torniamo al primo punto, quanto devono essere “big” i Big Data per definirli tali? Non c’è univocità in questa soglia, ma certamente non si può parlare di Big Data se non si è, almeno, nel range di 1018 byte, cioè 1.000.000.000.000.000.000 byte ovvero un Exa-Byte.

Se un byte fosse un chicco di grano da 50 mg, staremmo parlando di circa 50 miliardi di tonnellate di pasta. Altre definizioni partono dallo Zetta-Byte, cioè 1021 byte, cioè 1.000.000.000.000.000.000.000 byte e staremmo parlando di circa 50.000 miliardi di tonnellate di pasta.

In Italia, volumi del genere non sono generabili. Certamente si può cercare di attingere ai Big Data prodotti altrove ma essi non nascono qui. Anche se considerassimo le transazioni bancarie, i sondaggi e così via, non si arriverebbe a numeri nel range dei Big Data.

Detto questo, a cosa servono i Big Data, nella versione italiana o meno (cioè grandi masse di dati, di diversa natura)? Servono a generare conoscenza dal caos. A vedere percorsi in un’apparente assoluta confusione priva di una rotta. A intercettare trend, preferenze. A prevedere la rottura di un particolare meccanico prima che accada, in modo da suggerire al cliente un pezzo di ricambio prima che si rompa, generando ricavi e aumentando la produttività del cliente (che si dovrebbe fermare per molto tempo in attesa dell’arrivo del pezzo di ricambio). Ad ottimizzare la distribuzione degli agenti di sicurezza sul territorio, stimando la possibilità di eventi criminali sulla base della luminosità media delle strade, del numero di persone per metro quadro che mediamente hanno attraversato un quartiere negli ultimi anni per fasce orarie e del reddito medio delle persone residenti unito ad altri criteri.

Le applicazioni sono infinite e si applicano a praticamente qualunque disciplina: dal marketing, alla medicina, alla gestione del traffico alla manutenzione e ciclo di vita dei componenti.

I Big Data hanno dato speranza a una industria in cerca di ordine. Hanno suggerito che il caos di dati e database possono essere interpretati, possiedono nel DNA una matrice nascosta che può generare valore.

La sfida: raccogliere, analizzare e sintetizzare indicatori per renderli utili e comprensibili ai decision maker.

La Data Valley emiliana

In Emilia Romagna si concentra il 70% della capacità di calcolo di tutta Italia e la Regione ha deciso di sostenere la cosiddetta Data Valley, che ha a Bologna il soggetto (Cineca) detentore di uno strumento computazionale fra i più potenti al mondo.

Il capoluogo emiliano, in più, è stato individuato dalla UE come sede di un importantissimo centro per lo studio del clima – il Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF) – e sappiamo la prossimità che esiste fra questi problemi e le soluzioni che l’industria potrebbe dare col contributo imprescindibile di studi previsionali basati sui big data.

Due ambiziosissimi progetti

In Emilia Romagna si concentra il 70% della capacità di calcolo di tutta Italia e la Regione ha deciso di sostenere la cosiddetta Data Valley, che ha a Bologna il soggetto (Cineca) detentore di uno strumento computazionale fra i più potenti al mondo.

Ed è proprio dal capoluogo emiliano che Fondazione Aldini Valeriani ha accolto la sfida per due ambiziosissimi progetti:

 

ABIGAIL(M) – Acquisire BIGdata e Analytics per l’Innovazione e il Lavoro Manageriale – questo il nome del progetto, che viene portato avanti in sinergia con Confindustria Emilia Area Centro, Federmanager Academy e Fondirigenti.

Lo scopo è quello di avvicinare le aziende ad un utilizzo più friendly dei big data, enormi volumi di dati diversificati e velocissimi che possono aiutare le aziend

Un insieme di laboratori, gruppi di discussione ed azioni sperimentali porteranno i manager che partecipano al progetto a mettere mano concretamente sui software più appropriati per ottimizzare le decisioni manageriali, in particolare mediante l’uso di metodi di Data Analysis.

 

MASTERCLASS in BUSINESS INTELLIGENCE ANALYTICS per fornire, sia sul piano teorico che pratico, le conoscenze necessarie per l’applicazione delle più moderne tecniche per la gestione dei dati e per la sintesi di indicatori che supportino il processo decisionale aziendale.

Anche se il capoluogo emiliano è in vetta alle classifiche In Italia siamo indietro, semplicemente perché già la BI non è ancora abbastanza diffusa. E i Big Data sono, volendo semplificare, la BI applicata a masse enormi di dati e unita a metodi non strutturati come le reti neurali.

Ogni azienda vorrebbe avere ai

e nelle loro attività ma ancora visti come alieni dai non addetti ai lavori. Si vuole quindi fare cultura sull’utilizzo e la lettura dei dati, rendendo chiare e comprensibili quali sono le competenze che servono nelle aziende per mettere in atto questo passaggio fondamentale.

uto nel capire come sarà il mondo domani. I big Data possono aiutare ma in Italia abbiamo ancora un lungo cammino da percorrere, il che è un problema ma, come sempre, un’occasione da non perdere allo stesso tempo.

Da nerd a geek

Nel 2022 è normale sentirne parlare, ma pochi anni fa era ancora roba da nerd con occhiali spessi in uno scantinato buio.

Oggi quei nerd sono dei geek, sono usciti dagli scantinati e se 1 giovane su 3 non trova lavoro, loro lo trovano senza problemi, spesso hanno anche l’imbarazzo della scelta.

Tutte le analisi del mercato del lavoro, pre e post-Covid, indicano queste competenze e i profili professionali connessi (ibridi e verticali) come tra i più richiesti dalle imprese ed emergenti nei prossimi anni per effetto dell’accelerazione pandemica dei processi di digitalizzazione.

Citiamo ad esempio l’indagine dell’Osservatorio delle Competenze Digitali di Assintel che conferma la ripresa economica a partire dal digitale, con prevalenza di crescita per alcuni profili, tra cui Data Specialist +37%, Cloud Specialist +106%, Robotics Specialist +27% e IoT Specialist +19%.

Alessandra Fraticelli, Trainer, Professional Counselor e Coach Acsth AICP ICF si occupa da diversi anni dei percorsi formativi a tema Big Data e ha potuto osservare da vicino la rivoluzione che ha generato questo argomento. Le abbiamo chiesto di raccontarci il suo punto di vista:

La tecnologia rappresenta la chiave per disegnare un nuovo paradigma di governance sostenibile e i BIG DATA in questa prospettiva sono al centro e rappresentano uno degli aspetti cruciali negli scenari di sviluppo possibili. Ampliare e diffondere le competenze per la produzione, l’uso e la trasformazione del dato, è

condizione per raggiungere livelli di efficienza e produttività superiore e per sostenere i processi di trasformazione digitale e verde dei sistemi economici regionali, delle imprese e delle filiere territoriali.

Ne parliamo anche con Marco Folegani

Tiriamo le somme di come i big data hanno cambiato il mondo del lavoro, in passato avevamo parlato di “Umanesimo dei dati” con Nicola Mastrorilli, che ci aveva raccontato come “connettere i dati alle storie”; oggi invece ci siamo rivolti a Marco Folegani, Founder di MEEO, l’azienda che si occupa di sviluppare e fornire prodotti e servizi informativi geospaziali basati su dati satellitari e che collabora braccio a braccio con l’ESA, l’agenzia spaziale europea.

MEEO si occupa di sviluppare e fornire prodotti e servizi informativi geospaziali basati su dati satellitari. Prima dell’esperienza imprenditoriale iniziata nel 2004, i tre soci fondatori Marco Folegani, Simone Mantovani e Stefano Natali, dagli ambienti accademici del dipartimento di Fisica dell’università di Ferrara e del CNR di Bologna, si sono occupati di diversi aspetti di ricerca in ambito meteorologico e climatico.

Tra attività sperimentali con radar meteorologici, stazioni meteo e immagini meteosat ha preso forma l’idea di creare un’azienda in grado di operare nel mondo dell’agenzia spaziale europea (ESA) per lo sviluppo di soluzioni in grado di trasformare moli di dati sepolti su supporti magnetici in archivi sterminati in informazioni accessibili e soprattutto utili a comunità di utenti non solo scientifici. Questa idea si concretizza nel 2006 con il primo contratto di sviluppo tecnologico con l’ESA. La fiducia di un ente europeo così prestigioso si rinnova costantemente nel tempo e porta l’azienda ad una collaborazione tuttora in essere e non solamente con l’ESA ma anche con altri enti europei come EUMETSAT e ECMWF.

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Close Up è  il digital magazine di Fondazione Aldini Valerianiun progetto di promozione culturale con rubriche e contenuti inediti con l’obiettivo non solo di incuriosire il lettore, ma di appagarlo. Lasciandogli «qualcosa di più».