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Close UP, “I big data in Italia non esistono.”

E non ci si aspetta che esistano perché l’Italia è un paese piccolo.
L’avreste mai detto?

È questo che sostiene Francesco Bergamaschi, Ingegnere ed Economista, Consulente e Formatore di Business Intelligence (BI) e Business Analytics (BA), Professore di Big Data, BI, BA e Statistica presso la Scuola di Economia, Management e Statistica e la Scuola di Scienze Politiche dell’Università di Bologna e la Bologna Business School.È docente nella Masterclass di FAV in Business Intelligence Analytics.

I big data in Italia, un’occasione?

Cosa sono i big data? Tutti ne parlano e pochi lo sanno.

Partiamo da una frase forte: i big data in Italia non esistono. E non ci si aspetta che esistano perché l’Italia è un paese piccolo.

Ma cosa sono? I big data sono collezioni di dati con due principali caratteristiche:

1 – essere big, cioè una grande collezione (saremo più specifici a breve);
2 – essere di natura anche non strutturata.

Partiamo dal secondo punto. I dati non strutturati sono dati non rappresentati in una tabella. Alcuni esempi: video, twit, audio, animazioni.

I dati strutturati, al contrario, vivono in tabelle e li gestiamo senza problemi dagli anni 60 del ventesimo secolo grazie alla Business Intelligence (BI). Oggi, grazie alla self-service BI, li gestiamo anche in modo molto semplice rispetto al passato (Power BI, click, Tableau sono esempi di software di BI).

Dunque, per cominciare, i big data sono dati di natura mista (strutturata, cioè tabellare, e non strutturata). Ciò implica di dovere usare metodi non convenzionali per ottenerne degli spunti: non è semplice trattare video, tag, tabelle, audio insieme. Da qui la necessità spinta di metodi statistici, reti neurali e altre complesse tecnologie.

Non è questo l’ingrediente mancante in Italia, siamo pieni di social, video, tag e similari (forse anche troppo a volte).

Torniamo al primo punto, quanto devono essere “big” i Big Data per definirli tali? Non c’è univocità in questa soglia, ma certamente non si può parlare di Big Data se non si è, almeno, nel range di 1018 byte, cioè 1.000.000.000.000.000.000 byte ovvero un Exa-Byte. Se un byte fosse un chicco di grano da 50 mg, staremmo parlando di circa 50 miliardi di tonnellate di pasta. Altre definizioni partono dallo Zetta-Byte, cioè 1021 byte, cioè 1.000.000.000.000.000.000.000 byte e staremmo parlando di circa 50.000 miliardi di tonnellate di pasta.

In Italia, volumi del genere non sono generabili. Certamente si può cercare di attingere ai Big Data prodotti altrove ma essi non nascono qui. Anche se considerassimo le transazioni bancarie, i sondaggi e così via, non si arriverebbe a numeri nel range dei Big Data.

Detto questo, a cosa servono i Big Data, nella versione italiana o meno (cioè grandi masse di dati, di diversa natura)? Servono a generare conoscenza dal caos. A vedere percorsi in un’apparente assoluta confusione priva di una rotta. A intercettare trend, preferenze. A prevedere la rottura di un particolare meccanico prima che accada, in modo da suggerire al cliente un pezzo di ricambio prima che si rompa, generando ricavi e aumentando la produttività del cliente (che si dovrebbe fermare per molto tempo in attesa dell’arrivo del pezzo di ricambio). Ad ottimizzare la distribuzione degli agenti di sicurezza sul territorio, stimando la possibilità di eventi criminali sulla base della luminosità media delle strade, del numero di persone per metro quadro che mediamente hanno attraversato un quartiere negli ultimi anni per fasce orarie e del reddito medio delle persone residenti unito ad altri criteri.

Le applicazioni sono infinite e si applicano a praticamente qualunque disciplina: dal marketing, alla medicina, alla gestione del traffico alla manutenzione e ciclo di vita dei componenti.

In Italia siamo indietro, semplicemente perché già la BI non è ancora abbastanza diffusa. E i Big Data sono, volendo semplificare, la BI applicata a masse enormi di dati e unita a metodi non strutturati come le reti neurali.

I recenti sviluppi di riduzione dei costi della BI, grazie alla sua evoluzione self-service, speriamo possano incrementare significativamente la diffusione della BI, condizione essenziale per andare oltre la BI, proprio grazie ai Big Data. La BI descrive la realtà per come essa è senza dire perché sia così né come sarà domani, qui entrano in gioco i Big Data o quantomeno in Italia le tecniche statistiche o non strutturate come le reti neurali.

Ogni azienda vorrebbe avere aiuto nel capire come sarà il mondo domani. I big Data possono aiutare ma in Italia abbiamo ancora un lungo cammino da percorrere, il che è un problema ma, come sempre, un’occasione da non perdere allo stesso tempo.

Francesco Bergamaschi

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Close Up è  il digital magazine di Fondazione Aldini Valerianiun progetto di promozione culturale con rubriche e contenuti inediti con l’obiettivo non solo di incuriosire il lettore, ma di appagarlo. Lasciandogli «qualcosa di più».